Il tempo nascosto nella torre

 

Nel cuore di un vecchio borgo in Toscana, c’era una torre che nessuno osava più salire. Non per paura, ma per rispetto. Si diceva che lì dentro vivesse il tempo — non il tempo dei minuti e delle ore, ma il tempo che ricorda.

Ogni mattina, la signora Livia, ottantasette anni e un sorriso che sapeva di pane caldo, si sedeva sulla panchina di fronte alla torre con il suo gatto Tito. Guardava in alto, come se aspettasse qualcosa. O qualcuno.

«Ci vive ancora?» le chiedevano i bambini.
«Chi?»
«Il tempo.»
Lei sorrideva, accarezzava Tito e rispondeva:
«Solo se lo chiami con gentilezza.»

Un giorno, un ragazzo di città — Lorenzo, fotografo di sogni dimenticati — arrivò al villaggio. La torre lo attirò come un’eco.
«Posso salire?» chiese.
«Puoi provare», disse Livia. «Ma non portare l’orologio. Il tempo, lì dentro, non ama concorrenti.»

Lorenzo salì. Ad ogni gradino, sentiva qualcosa cambiare: il rumore del paese svaniva, il battito del cuore rallentava, le immagini nella mente diventavano ricordi. Nella stanza più alta trovò solo uno specchio rotto, un libro aperto e una sedia vuota.

Eppure, capì.

Il tempo non viveva nella torre. La torre era fatta di tempo.
Di tutte le attese, le parole mai dette, gli abbracci mancati, le risate perse nel vento.

Quando Lorenzo scese, non aveva scattato una sola foto. Ma aveva il cuore pieno.
«L’hai visto?» chiese Livia.
«Sì,» disse lui. «E mi ha guardato indietro.»

Da quel giorno, Lorenzo restò nel borgo. Non per cercare il tempo, ma per viverlo con lentezza.
E ogni tanto, nella torre, qualcuno sentiva ridere il vento.

 

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